I divieti sull’export dei rifiuti imposti dalla Cina e dall’UE vincolano i paesi finora esportatori – e quindi le imprese produttrici – a ridurre la quantità di rifiuti e di materiale di scarto prodotti. Conosciamo i dettagli dei veti in vigore dal 1° gennaio 2021 e degli strumenti che stimolano la gestione efficace delle smart factory.
Il divieto della Cina sull’export dei rifiuti solidi
A partire dal 1° gennaio 2021 la Cina vieta l’importazione, lo scarico, il deposito e lo smaltimento di rifiuti solidi provenienti dal resto del mondo. Finora, la nazione si è dedicata allo smaltimento e al riciclaggio di grandi quantità di rifiuti esteri, circa 45 milioni di tonnellate all’anno tra metallo, plastica e carta.
La Cina è uno dei paesi più inquinanti al mondo per emissioni atmosferiche e ogni anno sono circa 215 mila le tonnellate di rifiuti prodotti internamente. Ora, grazie allo stop imposto ai paesi esteri, la nazione potrà dedicarsi allo smaltimento dei rifiuti presenti, inclusi il 95% dei rifiuti plastici europei e il 70% di quelli statunitensi accolti finora.
Il divieto imposto dalla Cina fa largo a due possibili scenari; da un lato le altre nazioni del pianeta hanno l’occasione di rimodulare i propri percorsi e cominciare a ridurre drasticamente la quantità di scarti e rifiuti prodotti.
Dall’altro, potrebbero aprirsi le porte di paesi sud est asiatici come Malesia, Indonesia e Thailandia, attrezzati con impianti di smaltimento fatiscenti e pratiche poco trasparenti.
Cina: una politica green che dà ottimi risultati
Secondo il responsabile del dipartimento dei rifiuti solidi e chimici del MEE (Ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente) Qiu Qiwen, il veto sulle importazioni di rifiuti solidi esteri è una vittoria. Eppure, si è trattato di una scelta per niente facile, basti pensare che l’economia di alcuni territori cinesi si basa proprio sullo smaltimento dei rifiuti esteri.
La decisione si aggiunge alle tante azioni che la Cina ha scelto di approvare in attuazione della politica green avviata circa tre anni fa.
Dal 2017 le autorità cinesi hanno vietato l’ingresso di diversi tipi di rifiuti, step by step e con ottimi risultati; prima con il veto per i rifiuti plastici non riciclabili e i tessuti; poi è toccato a tutti i tipi di plastica e ad altri materiali. Interventi che hanno concesso alla nazione di passare dai 22,63 milioni di tonnellate di rifiuti del 2017 ai 7,18 milioni di tonnellate del 2020 (fino a novembre).
L’obiettivo emissioni zero entro il 2060 porta il paese a introdurre tantissime altre novità, tra cui: il divieto imposto in alcune aree dell’uso di sacchetti non biodegradabili e di materiali non riciclabili; l’individuazione di 11 città e 5 aree metropolitane in cui avviare programmi di rifiuti zero, di riciclaggio e riduzione degli scarti.
UE e rifiuti plastici: addio esportazioni verso i paesi più poveri
Anche l’UE interviene in materia di esportazione di rifiuti, infatti, dal 1° gennaio 2021, vieta l’export di rifiuti plastici verso i paesi più poveri.
Mete come Malesia, Turchia e Indonesia non potranno più accogliere e gestire i rifiuti plastici provenienti dai paesi membri UE. Materiali che – come evidenziato da diverse associazioni ambientaliste, tra cui Greenpeace Asia – vengono smaltiti impropriamente o bruciati, danneggiando l’aria, le acque e il suolo di terre meravigliose.
Il business dei rifiuti è un affare che interessa tutti, purtroppo. Solo nel 2018, l’Italia ha spedito all’estero circa 197 mila tonnellate di rifiuti, per un giro d’affari di 58,9 milioni di euro; e nel 2019 sono state 1300 le tonnellate di rifiuti plastici inviati proprio in Malesia.
La rotta Bulgara che attira l’Italia
I paesi sud est asiatici non sono i soli ad attirare l’attenzione delle nazioni coinvolte nel business dei rifiuti. Negli ultimi anni la Bulgaria è stata interessata da importanti traffici di rifiuti provenienti anche dall’Italia.
Perché ciò accade?
Le ragioni sono tante: un deficit impiantistico italiano che ostacola la gestione efficiente dei rifiuti; una legislazione internazionale facilmente manipolabile; i costi di smaltimento bulgari minori rispetto a quelli italiani e molto altro.
Tutto questo ha favorito la nascita di traffici illeciti, caratterizzati da carichi accompagnati da documenti contraffatti in cui i rifiuti di diversa natura venivano fatti passare come diretti al recupero di materia, talvolta anche per la produzione di CSS (Combustibili Solidi Secondari).
Imprese italiane: imparare a gestire i rifiuti e gli scarti prodotti
“ . . . un’opportunità per tutti i paesi per ridurre la produzione di rifiuti. Questo veto aumenta la pressione sui paesi esportatori di rifiuti affinché riflettano su come produrre meno, che è la vera soluzione alla crisi che stiamo affrontando”.
È con queste parole che Greenpeace Asia accoglie il divieto cinese sull’importazione di rifiuti esteri. I paesi – finora esportatori – sono chiamati a produrre meno. È la rivoluzione della gestione dei rifiuti che sta interessando anche il nostro paese, con imprese produttrici chiamate alla “responsabilità estesa” e interessate dagli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Agenda 2030.
Ebbene, per ridurre gli scarti di produzione e gestire con maggiore efficacia gli impianti di produzione, facendo largo ai vantaggi del divenire una smart factory, le imprese possono affidarsi alla tecnologia 4.0. Come quella adottata da kontrolON, il nostro sistema di monitoraggio per impianti industriali, anche multisito, che aiuta la proprietà, i manager e i dipendenti a controllare e gestire la produzione interna.
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